Supercazzola
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Il termine supercà zzola (pronuncia comune dell'originale supercà zzora) è un neologismo (entrato nell'uso comune dal cinema) che indica un nonsense, una frase priva di alcun senso logico, piena di parole inventate sul momento, usata per confondere la persona a cui "la si fa" (ossia colui al quale ci si rivolge), rendendolo ridicolo di fronte agli astanti.
Benchè si tratti di un nonsense, è facile identificare all'interno di questa parola alcuni elementi che appartengono realmente alla lingua italiana, ovvero il prefisso super- e il sostantivo cazzo. La struttura linguistica fondamentale su cui si fonda la supercazzola è infatti quella della parola macedonia, in cui si accostano termini o parti di termini diversi, appartenenti però a mondi concettuali molto distanti, con l'obiettivo di creare una confusione semantica.
L'origine del termine è il film Amici miei di Mario Monicelli (1975), che racconta le vicende di un gruppo di amici burloni che si divertono a corbellare il prossimo. àˆ soprattutto Ugo Tognazzi, nei panni del conte Raffaello (detto Lello) Mascetti, a "usare" la supercazzola, investendo la vittima della burla con una raffica di parole incomprensibili, spesso condite con turpiloquio mascherato.
Solitamente lascia cadere qua e là delle parole che possano impressionare l'interlocutore: ad esempio, nella supercazzola al vigile accenna ad "antifurto", "vicesindaco" e "prefettura"; rivolgendosi al custode del cimitero cita "ispettore tombale" e "fuochi fatui". Il termine "supercazzola" viene eletto a definizione di questa tecnica in seguito ad una burla "rovinata" dal personaggio di Guido Necchi (Duilio Del Prete), che il conte Lello Mascetti apostrofa dicendo:
« Senti, Necchi, tu non ti devi permettere di intervenire quando io faccio la supercazzola! »
La supercazzola "originale" recitava così:
« Mascetti: Tarapia tapioco! Brematurata la supercazzora o scherziamo?
Vigile: Prego?
Mascetti: No, mi permetta. No, io, scusi noi siamo in quattro. Come se fosse antani anche per lei soltanto in due, oppure in quattro anche scribai con cofandina; come antifurto, per esempio.
Vigile: Ma che antifurto, mi faccia il piacere! Questi signori qui stavano sonando loro. Non si intrometta!
Mascetti: No, aspetti, mi porga l'indice; ecco lo alzi così... guardi, guardi, guardi; lo vede il dito? Lo vede che stuzzica, che brematura anche. Ma allora io le potrei dire anche con il rispetto per l'autorità , che anche soltanto le due cose come vice-sindaco, capisce?
Vigile: Vicesindaco? Basta 'osì, mi seguano al commissariato!
Perozzi: No, no, no, attenzione, noo! Patente soppaltate secondo l'articolo 12 abbia pazienza, sennò, posterdati, per due, anche un pochino antani in prefettura...
Mascetti: ...senza contare che la supercazzora brematurata ha perso i contatti col tarapia tapioco.
Perozzi: ...dopo. »
Ecco un altro esempio di supercazzola, sempre fatta dal Mascetti, quando, nel film, si sente tradito dalla sua amante Titti e la insegue:
« Uomo al bancone: Mi scusi, lei...?
Mascetti: Antani, come se fosse antani, anche per il direttore, la supercazzola con scappellamento.
Uomo al bancone: Come scusi?
Mascetti: A destra, per due. »
Il linguaggio verbale che sfocia nella supercazzola potrebbe essere derivato, stando a una testimonianza del regista Mario Monicelli, da una trovata dello scrittore e cabarettista Marcello Casco, che era solito farsi beffe del potere costituito, rappresentato da vigili urbani, soldati o carabinieri, riuscendo a tenere una conversazione senza senso anche per diversi minuti, e dalla quale gli sceneggiatori di Amici miei potrebbero avere preso spunto. A tale riguardo, nonostante nel film ne faccia uso soprattutto il conte Mascetti, si segnala una scena conclusiva del film dove è il personaggio del Perozzi, interpretato da Philippe Noiret, a chiedere di confessarsi in punto di morte, parlando al sacerdote con lo stesso linguaggio incomprensibile, esaltando anche con fare iconoclasta questa pratica verbale tesa allo sberleffo della persona con cui ci si relaziona.
Dal punto di vista squisitamente psicologico, non sarebbe possibile nessuna supercazzola o "scappellamento a destra" se non fosse insita nell'uomo contemporaneo una regola non scritta di galateo che sconsiglia di dire al proprio interlocutore di non avere capito, e parimenti, una scarsa propensione a un ascolto attento, laddove si cerca solo di imporre i propri discorsi. Per questi motivi gli equivoci sorti nel film non possono dirsi delle forzature narrative, da accettare per convenzione in modo da creare la gag: esse si presentano come scene piuttosto verosimili, in un trionfo di incomunicabilità .
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